Nelle scorse settimane le questioni riguardanti
l’indulto e l’amnistia sono state al centro del dibattito politico. A seguito
dell’invito alle Camere da parte del presidente Napolitano di valutare queste
ipotesi come mezzi per far fronte alla tragedia dell’invivibilità delle
carceri, Matteo Renzi si è subito smarcato. Secondo il sondaggio di Ixè per Agorà-Rai3,
le affermazioni di Renzi sono state condivise dal 69% degli italiani, mentre un
25% si è ritrovato nelle posizioni del Capo dello Stato. Questo esempio spiega
bene le ragioni del successo del Sindaco di Firenze. Emanuele Macaluso, su
Repubblica, ha commentato così: “Renzi ragiona per sondaggi, per puro calcolo
utilitaristico.
Si preoccupa di acchiappare il massimo del consenso possibile,
da qualunque parte provenga, ma poi se ne frega delle conseguenze sulle persone
in carne ed ossa”. In questo caso “se ne frega della condizione di sofferenza
dei detenuti, dello spaventoso sovraffollamento,
di come si vive e si muore nelle carceri italiane”. Macaluso ha aggiunto: “Un
segretario così non risolve i problemi del Pd, ma glieli procurerà”. Una cosa è
certa: nel Pd urge un dibattito politico sulle questioni di merito, che invece
è sostanzialmente assente. O quantomeno stenta ad entrare nel vivo, nonostante
si sia avviato il congresso, cioè la sede principe per il dibattito politico.
La stessa cosa vale per la Liguria.
Si pensi all’intervista a Repubblica Genova del Presidente della Regione
Claudio Burlando: “nel Pd si deve cambiare tutto per far spazio a una nuova
generazione… la strada per vincere è svoltare, osare, cambiare”. Il modello è
il 1989, il superamento del Pci: “senza un nuovo 1989 noi siamo morti”. Da qui
l’appoggio a Renzi, e per la Regione l’auspicio che, con le primarie, arrivi qualcuno
con le caratteristiche di Renzi. E’ l’approccio che prevale nel Pd: via libera
all’ex rottamatore, in assenza di un dibattito politico sull’identità del
partito e su come essa si riflette sulla vita delle persone, per dirla con
Macaluso.
Stiamo assistendo a un moto quasi
plebiscitario basato sulla insoddisfazione e la sfiducia nei confronti del
gruppo dirigente storico, in gran parte ex Ds, e sulla speranza di vincere con
Renzi. La pars destruens del ragionamento non fa una grinza: in vent’anni il
gruppo dirigente storico ha combinato veramente poco, come dice Burlando. Ma proprio
per questo non mi convince il “modello 1989” che lui propone: allora emerse una nuova
generazione, che coincide esattamente con il gruppo dirigente storico
responsabile della sconfitta. Perché quella nuova generazione fallì? Perché non
costruì, dopo il Pci, il partito riformista e socialista di cui l’Italia aveva
bisogno, e diede vita a una forza dall’identità incerta: fu per questo che
l’ondata neoliberista non trovò molti argini lungo il proprio cammino.
Prevalsero la subalternità e il conformismo. Fino alla nascita del Pd, che
doveva essere un partito “moderato”, travalicante l’asse destra-sinistra. La
sconfitta nasce da qui. Ecco perché la pars construens del ragionamento di
Burlando fa molte grinze: Renzi assicura certamente quella freschezza e quella novità
di cui c’è bisogno come l’aria, ma il suo progetto, nel merito, è davvero in
discontinuità con la subalternità e il conformismo del gruppo dirigente
storico?
Bersani vinse le primarie (ma poi
perse le elezioni per le sue inerzie e reticenze) in contrapposizione alla
linea di politica economica di Renzi, basata sull’agenda neoliberista di
Monti-Ichino, del tutto insufficiente a fronteggiare la crisi. Vedo che oggi,
grazie al nuovo guru Yoram Gutgeld, Renzi tempera il suo liberismo originario con
più attenzione alla povertà e al lavoro. Ma è una vera svolta? Il suo programma
è molto generico, e non si capisce se il suo Pd stia con Stiglitz e Roubini o
con Alesina e Giavazzi. Il problema è che di tutto questo il Pd non discute, e
che lo scontro nel partito si riduce sostanzialmente a Renzi, l’ex rottamatore che
ha l’appoggio furbo di molti “rottami”, e gli altri, i sostenitori delle larghe
intese, che parlano soltanto di stabilità.
Riconosco che i documenti
congressuali offrono contributi importanti. Ma in tutti, tranne che in quello
di Pippo Civati, c’è la rimozione del presente: il fatto cioè che il Pd governa
con il Pdl. E che le larghe intese non possono che produrre politiche di destra
e silenziare la libera coscienza del Pd. Non a caso hanno compattato i
sindacati nello sciopero contro la legge di stabilità. Mi chiedo come il Pd
possa tollerare tutto questo. Non solo: mi chiedo come possa governare con il
suo carnefice, considerare cioè come alleato il leader politico che uccise il
Governo Prodi comprando quattro traditori per trenta denari.
Un vero dibattito di merito serve
anche in Liguria. Non a caso nessuno ha risposto a Burlando: il confronto
politico, nel centrosinistra ligure, è rimosso da tempo. Prima ancora delle
primarie per scegliere il successore di Burlando, c’è bisogno di un progetto
che vada oltre Burlando. Che parta dalle tante cose buone dell’esperienza di
governo degli ultimi dieci anni, ma anche dal necessario rinnovamento. Innanzitutto
sul punto del modello di sviluppo. Non possiamo non riflettere su alcune questioni
rispetto alle quali serve cambiare rotta. Tre esempi per tutti: il sacrificio
di chilometri di costa per attrarre investimenti immobiliari e rilanciare la
nautica, e poi ritrovarsi con troppo cemento e benefici inferiori alle attese; la
conservazione di centrali a carbone che hanno un impatto troppo pesante su ambiente
e salute; l’assenza di una “visione” e di
una “governance” adeguate su turismo e cultura, gli assi portanti del
futuro. C’è poi la questione, connessa, delle alleanze. Si è visto dove ha
portato la linea di allearsi con quasi tutti: le dimissioni, perché indagati,
di due Vicepresidenti della Giunta; il coinvolgimento di molti consiglieri di
maggioranza, compreso il Presidente del Consiglio Regionale, nell’uso a fini
privati di denaro pubblico… Facciamo le primarie, certo. Ma per far cosa?
Giorgio Pagano
Le considerazioni e perplessità di Girogio Pagano sono ben elencate ed anche condivisibili.
RispondiEliminaMi chiedo però se nell’attuale contesto in cui si vive, dove i comportamenti d’altronde sono quelli che sono, è proprio così sbagliato dare fiducia ad un condottiero che potenzialmente può portare un partito alla vittoria? Sino a prova contraria altri non hanno ottenuto risultati molto brillanti.
Che paura hanno coloro che dirigono, militano o simpatizzano per il partito democratico? Possono pensare che non potranno mai più intervenire e sarà loro tappata la bocca per sempre?
Penso che se ci saranno degli arretramenti o errori sarà sempre possibile affrontarli e contrastarli se sarà il caso, ovviamente dipenderà dalle capacità dei protagonisti …