Vengono
in questi giorni a compimento gli approcci per la definizione della
Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) relativa alla centrale termoelettrica
Enel della Spezia.
Da
quel poco che ne so, pare che l'apposita Conferenza si accinga a porre all'Enel
l'obiettivo di un graduale miglioramento ambientale, dapprima lentamente poi
più speditamente, da perseguire nei prossimi sette anni: Si porrebbero limiti più restrittivi alle emissioni dei più
significativi inquinanti (SO2, NO2, CO, polveri ; ovvero
anidride solforosa, diossido di azoto, monossido di carbonio e polveri)
che comunque resterebbero, pur nei limiti di legge, in quantità non
irrilevanti.
L'SO2
per i prossimi tre anni scenderebbe a 4.200 t/anno, l'NO2 a 3.200 t/anno, il CO a 1.800 e le polveri a 220. Successivamente a partire dal quarto anno scenderebbero
ulteriormente: 3.000 t/anno per l'SO2, 3.000 t/anno per l'NO2, CO ferma a 1.800
e in lieve ulteriore diminuzione le polveri a
200
t/anno.
Certamente
un miglioramento rispetto alla situazione attuale, è innegabile.
E
tuttavia qualcosa non convince. Cercherò di esprimere il mio punto di vista.
Ritengo
che per la prima volta si interrompe una linea politica che in un lungo arco di tempo la città ha impostato la sua iniziativa nei confronti
dell'Enel, conseguendo ambiziosi risultati.
Mi
sia consentito di affidarmi alla memoria, sperando di non sbagliare, nel
ripercorrere l'impegno con cui gli spezzini hanno sviluppato quella politica
dal '70 ad oggi.
La
centrale fu inaugurata nel 1962. All'epoca non vi furono significativi
dissensi, salvo qualche illuminata ed individuale protesta da contare sulle
dita di una mano. C'era allora solo voglia di lavoro, di rientro dalla Germania
e dalla Svizzera di tanti
lavoratori licenziati dieci anni prima
dalle fabbriche spezzine e non v'era
ancora significativa traccia di una cultura ambientalista. In quel
contesto sociale e culturale l'Enel e le istituzioni di quegli anni ebbero la
bella idea di realizzare una centrale termoelettrica – tra le più imponenti di
allora – dentro il perimetro urbano della città, contrariamente a quanto si
faceva da tutte le altre parti che infatti le realizzavano in aperta campagna.
Per
un pò di tempo non sorsero problemi, ma già dopo tre o quattro anni crebbero
nel levante cittadino un diffuso malessere e le prime proteste. Prima pochi
gruppi isolati, le donne in particolare che facevano caso a come si sporcavano
i panni stesi ad asciugare e che quindi deducevano la qualità dell'aria che
respiravano, poi montò il "mugugno" e la diffidenza corale in quella
parte della città. Sorsero i primi nuclei della protesta – ricordo quello che
aveva per portavoce ed animatore Pino Malagamba a Melara- poi il malcontento si diffuse in tutte le
frazioni attorno all'Enel. Oltre al primo gruppo di Melara a protestare erano
ormai un pò tutti i cittadini del Limone e del Termo, di Pitelli, San Venerio,
Canaletto, Ruffino; persino all'Antognana ,
a Mazzetta e a Valdellora i residenti che più facevano i conti con
l'inquinamento della limitrofa
raffineria IP – che i vecchi chiamavano
Nafta – si unirono agli altri a protestare contro IP ed Enel.
Tutti
assieme diedero vita ad un movimento popolare, unitario e di massa che coinvolse l'intera città e un pò tutte le
forze poliche, chi più chi meno. In quel
movimento c'ero anch'io e la mia partecipazione, allora giovane funzionario
della Federazione comunista, con molti altri miei compagni di allora, stava a
significare il sostegno del PCI -forse per la prima volta- ad un movimento di
massa sui temi della salute e dell'ambiente.
Nella
primavera del '70 sfilò per Spezia un composito corteo – famiglie con i loro
bambini, molte donne, gente di ogni età, insomma popolo – più di 3.000 persone
che ordinatamente ma radicalmente chiedevano di vivere meglio.
La
dirigenza Enel osservava, raccoglieva tutto il nostro materiale di
documentazione, i vari volantini che producevamo, taceva e continuava a gestire
l'impianto come prima.
Allora
la centrale contava quattro ciminiere, due altissime (oggi ne è rimasta una) e
due più basse, quasi a filo dei nasi di Pitelli e San Venerio. Aveva due grandi
gruppi da 600 MW (megawatt) e due da 300 MW per un totale di potenza installata
di 1.800 MW : era una delle più grandi d'Europa. Produceva elettricità per la
rete nazionale bruciando prevalentemente gasolio ma anche carbone, entrambi di
pessima qualità e molto inquinanti in quanto contenevano un alto tasso di
zolfo.
Le
nuove elezioni amministrative riportarono alla guida del Comune Varese Antoni
che, forte del movimento in atto, adottò tra i suoi primi atti un'ordinanza
alla Centrale imponendole l'uso di combustibili, certamente assai più costosi
per l'Enel, a BTZ ( a Basso Tenore di Zolfo).
L'Enel non gradì, ma si adeguò.
L'Enel non gradì, ma si adeguò.
Fu
il successivo sindaco, Aldo Giacchè, che
chiese ed ottenne un'ulteriore svolta gestionale. Infatti si notò che l'uso
promiscuo di carbone e gasolio "impastava" gli elettrofiltri
reducendone la potenzialità a captare e
trattenere gli inquinanti. La giunta di allora si poteva valere del contributo
di un valido esperto in materia, Piergiorgio Sommovigo.
Si ottenne così l'uso esclusivo del carbone a
basso o bassissimo tenore di zolfo, che comportò un ulteriore miglioramento ambientale
e gestionale. Fu sostenuto poi che
neppure quest'indubbio miglioramento poteva concludere la lunga vertenza della
città con l'Enel. Sostenni allora, divenuto Sindaco, che si doveva porre il
problema di un'ulteriore modifica sia alla struttura impiantistica della
centrale sia alla sua gestione. Erano ormai maturi i tempi per porci,
sensatamente, ulteriori obiettivi.
Nel
frattempo l'Enel si attestava, oserei dire si arroccava su di un principio solo
apparentemente inoppugnabile: verifichi e controlli il Comune se la centrale
opera nei limiti di legge alle emissioni degli inquinanti, al resto -gestione,
impiantistica, scela dei combustibili - ci pensa Enel.
In
sostanza era quella che chiamammo " la politica della stipa ". Enel
bruci quel che vuole, anche la stipa, purchè non sfori i limiti di legge. Ne
discutemmo approfonditamente, ma poi decidemmo unitariamente per parte
nostra che invece occorreva proseguire
la politica che -fermi restando i limiti
all'inquinamento- interveniva significativamente sui combustibili usati,
sull'impiantistica e sulla gestione industriale dell'impianto. Ritengo che
eravamo lugimiranti e nel giusto;
anticipavamo solo quello che oggi è divenuta legge comunitaria.
Vi
fu un contenzioso con l'Enel anche assai aspro, si arrivò con la giunta
Burrafato addirittura all'ordinanza di blocco della Centrale per il conflitto
con le norme a tutela delle temperature delle acque di scarico nel golfo;
insomma una vertenza dura e stringente.
Che però si concluse assai bene
per la città. Si conquistò infatti una buona intesa che abbattè di un
terzo la potenza complessiva demolendo
un gruppo da 600 MW ; si passò così da una potenza installata di 1800 MW agli
attuali 1200. E la nuova termocentrale
doveva andare per metà a carbone, per metà
a metano. Rimase un gruppo da 600 MW a carbone e gli altri due da 300MW furono
irreversibilmente convertiti a metano. Furono conseguentemente abbattute tre
ciminiere , una alta e le due basse.
E siamo così giunti all' oggi.
Vorrete
scusarmi per la lunga narrazione dei decenni passati, ma essa è utile e
necessaria per riflettere sui problemi che abbiamo di fronte ora.
Non
credo che neppure oggi si debba accettare la "politica della stipa"
pur con limiti alle emissioni
ulteriormente e significativamente ridotti. Anche perchè il processo
normativo è andato
notevolmente avanti soprattutto con le più recenti direttive
comunitarie. Oggi in Europa si ragiona in termini più avanzati sia per i
traguardi ambientali sia a proposito di innovazioni tecnologiche ,
produttive e di più alti rendimenti
energetici. E' la politica europea delle MTD (Migliori Tecniche Disponibili). E
ancora una volta a Spezia l'Enel si trova arretrata e deficitaria rispetto alle
nuove politiche europee e nazionali.
La
resa energetica della centrale a Spezia è sensibilmente inferiore al 40% a cui
si fa riferimento con le MTD. Ciò dipende dallo scarso rendimento dell'unico
gruppo a carbone rimasto che raggiunge solo il 36,9% e che scende al 33,7% di
resa energetica ceduta alla rete. Ben
diversa e migliore è la resa di entrambi i gruppi a metano che raggiungono il
47,7% e del 42% di resa alla rete. Il
deficit di rendimento del solo gruppo a carbone diminuisce notevolmente il rendimento globale di
tutta la centrale che nell'insieme è
così ben inferiore al 40% raggiungendo
infatti solo il 35,5% di resa all'utenza.
A
me non pare illogico, ma coerente con la storia dei nostri rapporti con l'Enel,
porre oggi il problema della dismissione
del gruppo a carbone. Non manca il metano
nel mercato energetico, anzi ve ne sarà sempre di più. E rimane intatta
la questione – specifica per La Spezia – di una centrale sorta all'interno del
perimetro urbano che pertanto deve fare i conti con i combustibili più
inquinanti.
Sostituire
il gruppo a carbone con analoga o
inferiore potenza derivante dal metano mi pare non solo il logico sviluppo di
una politica fin qui perseguita e concretamente realizzata. Ma ciò che più
conta se così fosse è il fatto che in tal modo non ci sarebbero più tutte le polveri
inquinanti, tutta l'anidride solforosa, mentre il diossido di azoto si
ridurrebbe di due terzi. Si realizzerebbe quindi una positiva e radicale svolta
ambientale a favore della città . Nel contempo ben maggiore sarebbe il
rendimento energetico della centrale che
passerebbe così dal 35,5% al 42% di resa
alla rete. In linea con i parametri europei.
Per
la verità i risultati complessivi andrebbero anche oltre i temi della salute,
dell'ambiente e della
efficienza
energetica.
L'abbandono
del carbone comporterebbe la conseguente
dismissione del vastissimo compendio Enel in Via Valdilocchi, prospiciente
l'OTO Melara fino a Fossamastra, che liberato dai due enormi carbonili
asserviti all'uso termoelettrico del carbone,
restituirebbe alla città una grande offerta di aree produttive
appetibilissime in quanto contemporaneamente a bocca di autostrada e di porto commerciale.
Non
credo che in Italia o in Europa vi sia solo l'impresa Malacalza che abbisogni di aree così ottimamente
servite ed infrastrutturate.
Inoltre
potrebbe essere destinato a ben altre funzioni mercantili il grande molo che
nel porto è dedicato alle grandi carboniere che riforniscono la centrale Enel
sui due lati dello stesso.
Potrebbe
così risolversi la realizzazione della Stazione Marittima con una spesa minima;
quella occorrente alla realizzazione di
un edificio di servizio e connessa dotazione infrastrutturale.
Ipotesi
su cui riflettere e dibattere, naturalmente. Ma di certo l'abbandono del
carbone in centrale va anche oltre la pur necessaria e fondamentale iniziativa per un ambiente
nettamente migliore.
Resta
il fatto che per governare occorre avere qualche progetto ambizioso su cui
tutta la città possa ritrovarsi partecipe e concorde, e per esso occorre
battersi conseguentemente facendo leva sulla partecipazione.
"Faber
est suae quisque fortunae" (Ciascuno è artefice della propria sorte) si
leggeva nella letteratura latina. E così dicevano gli antichi romani a cui
certo non mancavano l'ottimismo e l'ambizione per le grandi imprese.
Sandro Bertagna
Intanto vorrei ringraziarti per quelle che hai definito ingiustamente le tue lungaggini. Ormai ci stiamo abituando a sproloqui di ogni forma e natura politica che quando ci troviamo di fronte a queste analisi mi appaiono boccate d'ossigeno, quindi ancora grazie.
RispondiEliminaIl tuo pensiero mette in moto alcune considerazioni. Molto sinteticamente, la prima è che oggi, la coscienza civica, la capacità di mobilitàzione dei cittadini e la spirito di costruzione di forme di lotta (in questo caso di natura ambientale e di salute) sono davvero al lumicino.
La seconda è che la classe dirigente di questa città paradossalmente ritiene il passaggio dell'AIA un successo, (così come la deperimetrazione del SIN di Pitelli?) in una strana commutazione dei parametri di valutazione, credo avendo perso una grande occasione di imporre una visione (forse perchè non v'è traccia) di riconversione della centrale e di sviluppo di un polo energetico innovativo, dove produrre strumenti ed energia guardando al futuro, non al passato.
Ma viene in mente un'affermazione di un certo Ivan Strozzi, quello che fu l'AD di ACAM (che se non ricordo male ha tra il corebusiness anche l'energia) il quale disse "le energie rinnovabili? sono pugnette". Chapeaux
Un carissimo saluto