I funerali di don Gallo sono stati un fatto rilevante nella vicenda
della Chiesa italiana. E’ emerso come mai in passato -per la prima volta il Presidente
della Cei è stato zittito mentre era all’altare- il contrasto tra due modi
diversi di essere fedeli. Il Cardinal Bagnasco ha sbagliato a non capire
l’emozione che vibrava davanti a lui e a citare il Cardinal Siri senza
quell’atto di riparazione che il Gallo avrebbe meritato. Di fronte alla
contestazione ha fatto bene Lilli, storica collaboratrice del Gallo e anima
dietro le quinte della Comunità di San Benedetto al Porto, a parlare con parole
forti, le parole di don Gallo. Il suo messaggio è stato chiaro: il profetico
atto d’amore del Gallo per gli uomini non era contro la Chiesa titolare della
dottrina, che è la “nostra casa”. Subito dopo le parole di don Ciotti sono
state nette, quasi brutali nella loro diversità rispetto a quelle di Bagnasco,
ma anch’esse “per” e non “contro”: “Andrea ha testimoniato una Chiesa che non dimentica
la dottrina anche se non ha mai permesso che la dottrina diventasse più
importante dei più fragili, dei più deboli, degli ultimi”. E allora: “dentro i
gay, dentro le lesbiche, dentro i divorziati, perché la Chiesa è soprattutto
Misericordia”.
E Bagnasco ha dato la Comunione a Luxuria e alla trans Regina
Satariano. Forse saldare il Cielo e
I funerali del Gallo spingono anche la sinistra italiana, mai così
debole, a riflettere. “Ci voleva il Gallo per mettere insieme tutti questi
pezzi di sinistra”, ha detto il Presidente della Regione Claudio Burlando.
Perché? Che insegnamenti ci lascia Andrea? Io penso che, fondamentalmente,
siano due. Il primo: la sinistra ha bisogno di una dose robusta di
immaginazione, della disponibilità a pensare, come suggeriva il filosofo
Theodor Adorno, il mondo dal punto di vista della sua trasformazione. Insomma,
serve qualche confidenza con l’idea di trascendenza -che può caratterizzare i
valori religiosi ma anche i valori umanistici di molti non credenti- capace di
allargare la nostra concezione del tempo e dello spazio, ma soprattutto i
confini della nostra anima. Il secondo: chi si batte per tutti gli uomini deve
riuscire a capire e ad amare gli uomini concreti che si trova ogni giorno di
fronte, a capire e ad amare i loro limiti, le loro debolezze, le loro
sofferenze. Perché tutti gli uomini sono persone che hanno il diritto alla
dignità.
Il Gallo aveva anche, come ha scritto il Sindaco di Genova Marco Doria,
“un grande intuito politico, una capacità di pensare e vedere i fenomeni della
politica”. In questi anni mi ha aiutato e accompagnato in tante avventure. Ci
scrivevamo via e-mail: i suoi pensieri, espressi nel suo stile sintetico, erano
molto potenti. Riportarne qualcuno può forse essere utile. Mi limito a quelli
dal 2011 in
poi. I primi riflettono la grande speranza che nasceva dalle lotte dei
metalmeccanici per la dignità del lavoro, dai referendum sui beni comuni e
dalla vittoria del centrosinistra alle amministrative (Genova in primis). Di
fronte a queste formidabili novità il Pd avrebbe dovuto cambiare, darsi un
nuovo programma. Ma non successe nulla. Fu l’ultimo momento utile per uscire a
sinistra dalla crisi della Seconda Repubblica. Non trovando una sponda a
sinistra le domande di quei mesi si trasformarono in indignazione sotto le
uniche bandiere disponibili della lotta alla Casta. Ci impegnammo insieme, a
fianco di Vendola nelle primarie, poi di Bersani. Ma oramai era troppo tardi, e
il Gallo ne era consapevole: “La
Sinistra è ‘quasi’ fuori dalla Storia”; “Siamo all’ultimo
tram. Il 2013 è l’ora Z. Spero che ci sia una svolta democratica”; “Cerchiamo
insieme di costruire Democrazia. A piccoli passi… La crisi è di sistema e sarà
di lunga durata”. Ecco l’“intuito politico” del Gallo. Aveva capito che la
sinistra doveva ascoltare il “risentimento” popolare e dargli una prospettiva
ideale e politica. Fabrizio Barca direbbe: superare la “fratellanza siamese”
tra partito e Stato, cioè la “statalizzazione” della politica che non sa
parlare al dolore sociale, agli uomini concreti che si trova ogni giorno di
fronte. La sinistra deve ripartire dalla trasformazione del mondo, cioè dai
valori, e scegliere con chiarezza un campo, quello del lavoro e dei ceti più
deboli. Poi, certamente, deve innovare, e molto. Ma a partire da questa identità.
Chiediamoci: per quanto varrà ancora, tra noi, il pregiudizio contro “il
radicalismo minoritario”? Le sole vittorie recenti, dall’acqua pubblica al no
al nucleare, fino all’elezione di Pisapia a Milano, sono il frutto di scelte
riformiste radicali, non per questo meno popolari, anzi maggioritarie. Ecco l’ultimo
pensiero che mi è arrivato dal Gallo: “Sinistra significa valori. Siamo in
tempi bui, ma piccoli fuochi sono accesi in tutto il mondo”. Ci aspetta un
impegno di lunga lena. Il Gallo sarà certamente al nostro fianco.
Giorgio Pagano
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