In luglio a
Berlino si terrà un Consiglio straordinario dei Ministri del Lavoro dei paesi
UE per discutere dell'emergenza occupazione in Europa, vera piaga del nostro
tempo che non risparmia l'Italia. Gli ultimi dati Istat disponibili evidenziano
un peggioramento ulteriore della situazione italiana, con un incremento in
particolare rispetto all'anno passato dei giovani disoccupati e della più
generale categoria dei giovani inattivi, che non lavorano né studiano né
seguono un percorso di formazione professionale. I giovani in questa condizione
in Italia sono milioni e sono un problema più accentuato rispetto ad altri
paesi con percentuali di disoccupazione anche più elevata della nostra: in
Italia “l'esercito della rassegnazione” che, nel migliore dei casi, vive per
moltissimi anni delle pensioni dei nonni, degli aiuti dei genitori e di
espedienti vari è particolarmente ampio e non più limitato a zone marginali del
Paese, come nei decenni di maggiore sviluppo economico.
Dunque prima
di immaginare altre riforme e impegni il governo Letta dovrà capire come
affrontare questa emergenza. Cruciale sarà lo spazio di manovra che ci verrà
dato dall'Unione Europea: se da una parte l'Italia dovrà cercare risorse
ricontrattando i tempi del proprio rientro dal deficit e negoziando una almeno
parziale sottrazione delle spese per investimenti dal computo di bilancio al
fine del rispetto del suddetto piano di rientro, d'altra parte ogni paese
compreso il nostro potrà trovare delle opportunità dal nuovo quadro finanziario
pluriennale 2014-2020. Il nuovo capitolo dedicato al sostegno dell'iniziativa
per l'occupazione giovanile è appunto una di queste possibilità: si tratta di 6
miliardi da suddividere fra tutti i paesi che superino una certa soglia di
disoccupazione, per attuare programmi di ristrutturazione dei servizi per
l'impiego, per istituire tirocini garantiti attraverso aziende pubbliche e
private e per realizzare altre misure volte a implementare quella che
complessivamente viene chiamata la Garanzia Europea per i Giovani, pacchetto di
interventi finalizzati a far sì che nessun giovane europeo sia per più di 4
mesi disoccupato o fuori da un percorso di studio o di formazione
professionale. La soglia di disoccupazione da aver raggiunto per poter accedere
a questo fondo e l'età massima dei destinatari delle misure finanziate dallo
stesso, sono ancora oggetto di trattativa fra Parlamento e Consiglio, così come
l'intero quadro finanziario pluriennale, ancora in discussione dopo il rigetto
della prima versione, bocciata dal Parlamento Europeo perchè giudicata troppo
restrittiva nei capitoli più innovativi come questo. E' indubbio che i 6
miliardi immaginati per il periodo dal 2014-2020 siano insufficienti, tanto che
la stessa prudente Commissione Barroso aveva inizialmente proposto una cifra
pari ad almeno 10 miliardi, per evitare
che le risorse finissero per essere troppo scarse per l'intero settennato; ma
gli stati membri in sede di Consiglio non hanno voluto allargare i cordoni della
borsa, rischiando di far apparire questo programma quasi soltanto una piccola
pezza messa dall'Europa germanocentrica, a parziale rimedio della propria
incapacità di riorganizzare la governance economica europea per rendere
l'Unione davvero in grado di far ripartire la crescita e l'occupazione , grazie
a grandi investimenti infrastrutturali e a un bilancio europeo di risorse
proprie. Se si proseguirà nella strada disegnata dal Parlamento di ampliare
fino ai 30 anni di età la fascia di soggetti destinatari degli interventi,
rispetto agli originari 25 anni, e di abbassare la soglia di disoccupazione per
accedere al fondo fino al 20%, rispetto all'originario 25%, sarà fondamentale
incrementare la dotazione finanziaria destinata a questo progetto, che rimane
in questo momento l'unico tentativo serio messo in campo dall'Unione per
combattere la disoccupazione giovanile, superiore a quella della popolazione in
generale in ogni stato membro. Se si vuole seguire il detto di Tommaso
Padoa-Schioppa per cui “agli Stati il rigore, all'Europa lo sviluppo”, è
necessario realizzare le politiche adeguate al raggiungimento di tali
obiettivi.
Brando Benifei
Ciao Brando, ottimo articolo al quale pero mi pare manchi un pezzo.
RispondiEliminaTutti parliamo di lavoro ma io non riesco a capire quale,come dove quando, ecc. ecc..
Cerco di spiegarmi meglio: negli anni 50 la agricoltura europea era lasciata al "libero mercato" con casini inenarrabili.All'inizio degli anni 60 usci un piano Mansholt che dettò regole, chiese che ciscun paese dell'Unione Europea si specializzase nei prodoti più consoni in funzione di territoro, clima, ecc. e con parcchie ombre e qualche luce il sistema agricolo europeo fu messo in piedi.
Credo che un qualcosa di simile debba essere fatto anche per l'industria europea se questa vuole ripartire.Allora in Italia si dovrebbe capire se è giusto dare contributi alla chimica di base o alla chimica del riciclo delle materie plastiche e cosi via.
Sei in grado di illuminarmi se in Europa qualcuno ci sta pensando?
Rinaldo Rapallini