I recenti avvenimenti politico-sociali sono degni di qualche
commento. E’ il caso di ripercorrere insieme la sequenza micidiale di eventi che
ha in qualche modo avvelenato i pozzi della politica stantia di quello che ,
con felice intuizione, Marco Revelli chiama il governo delle due destre:
1) 3
luglio: con una sentenza limpida e indiscutibile, la Corte Costituzionale
boccia quella parte dell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori (modificato nel
1995) che impedisce la rappresentanza sindacale nelle fabbriche a quei
sindacati che non hanno sottoscritto accordi contrattuali. Nello specifico l’articolo
era stato applicato alla lettera dalla FIAT nei confronti della FIOM.
2) 3
luglio: in serata la FIAT esprime la sua delusione in una nota, in cui spiega
che a questi punti è necessaria una legge per risolvere i dubbi che la sentenza
della corte lascia aperti in merito ai criteri di rappresentatività nelle
fabbriche.
3) 4
luglio: fa eco al comunicato FIAT il giuslavorista Pietro Ichino (ex PD, ora
Scelta civica) , da sempre amante della svolta FIAT di Pomigliano, in
un’intervista a Repubblica, in cui spiega, fra l’altro, che “un sistema di
relazioni industriali funziona se tra le parti contrapposte c’è una visione
comune almeno sugli obiettivi da raggiungere e i vincoli da rispettare”. Come
dire che i sindacati possono sì contrapposti all’azienda, è il loro mestiere
purtroppo, ma solo su questioni che non riguardano al gestione aziendale! Se
non fosse drammatico sarebbe tutto da ridere…
4) 4
luglio: conseguentemente alla sentenza che, come è logico nelle sentenza della
Consulta, denuncia l’anticostituzionalità di un provvedimento ma non risolve il
problema sollevato, diversi commentatori commentano che a questi punti il
governo deve proporre una legge che chiarisca il problema della rappresentanza
sindacale senza equivoci. Il problema è, ovviamente, come restituire voce a
sindacati fortemente rappresentativi ma non firmatari di accordi di produzione,
come è appunto accaduto nel contenzioso fra FIAT e FIOM negli ultimi drammatici
anni. E’ evidente che in questo modo un sindacato anche maggioritario come
rappresentanza deve smantellare la sua presenza nei luoghi di lavoro se non è
firmatario di accordi e , viceversa, sigle sindacali poco rappresentative,
assumono voce in merito a questioni delicatissime, se in accordo con l’azienza.
Naturalmente si resta in attesa delle motivazioni della sentenza, ma non vi è
dubbio che la linea FIAT-ministro
Sacconi è stata smantellata e deve essere modificata.
5) 5
luglio: compare sui giornali nazionali (con l’eccezione incredibile, se non ho
visto male, del Corriere della sera) il comunicato della presidente Boldrini
che dichiara di non accettare l’invito alla visita dello stabilimento Fiat in
Val di Sangro, invito rivoltogli dall’amministratore delegato Marchionne, lo stesso che aveva decisamente
criticato l’incontro fra la presidente della Camera e una delegazione FIOM
qualche giorno prima, e proprio perché la FIOM non sarebbe “rappresentativa”.
Scrive la Boldrini nella sua lettera di rifiuto: “Le vecchie ricette hanno
fallito e ne servono di nuove. Affinché il nostro Paese possa tornare
competitivo è necessario per correre la via della ricerca, della cultura,
dell’innovazione. Una via che non è in contraddizione con il dialogo sociale e
con costruttive relazioni industriali: non sarà certo nella gara al ribasso sui
diritti e sul costo del lavoro che potremo avviare la ripresa”.
Come si vede è una sequenza micidiale e foriera di grandi
trasformazioni in corso. E che cosa fa in tutto questo movimento il “governo
delle due destre”? Tace, ammutolisce, non commenta. Né, aggiungo, potrebbe
farlo, perché la linea di questo governo, fortemente in continuità con il
precedente e con l’ancora precedente governo Berlusconi, è quella del consenso
a relazioni industriali dettate dalle aziende ai lavoratori, partendo dalle promesse
(false, almeno quelle della Fiat) di nuovi posti di lavoro e rinnovo della
produzione.
La FIAT di Marchionne ha in questi anni, con il benestare
dei vari Ichino, percorso all’indietro la strada della tutela dei diritti,
ponendo sotto ricatto la classe operaia in modo ignobile e cancellando le
conquiste sindacali che la civiltà del welfare e della tutela dei diritti dei
lavoratori aveva conquistato. Laura Boldrini,
una formidabile eccezione ai deliri della nuova legislatura, queste cose
le ha denunciate con chiarezza nel silenzio generale. La Consulta ha espresso
il suo parere (di cui sapremo a breve le motivazioni) a tutela delle norme
costituzionali. E il governo temporeggia imbarazzato.
Una breve nota conclusiva: questo governo vuole fare una
riforma costituzionale in senso presidenzialista. Nello scenario della crisi
italiana in corso questa non è affatto una priorità ed è per giunta un gravissimo
rischio. La Costituzione va difesa, a partire dalla tutela dei diritti civili e
sociali, non modificata.
Franco Bertini
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