La crisi del sistema politico che attraversa ormai da più di
un trentennio la vicenda italiana si profila innanzitutto come crisi di
legittimazione del sistema tradizionale della rappresentanza, dai grandi
soggetti collettivi pensati per svolgere un ruolo di sintesi e di
“organizzazione della democrazia” – i partiti – agli strumenti istituzionali
rivolti a favorire ed estendere la partecipazione. Del resto, la stessa scelta
dell’elezione diretta dei sindaci ed i suoi precipitati, se hanno favorito una
maggiore stabilità e funzionalità nel governo locale, tuttavia sono divenuti
possibili veicoli della diffusione di quella ideologia – che configura il
principale portato del lungo ciclo neoliberista – per cui la partecipazione
democratica e le forme di organizzazione collettiva delle domande sociali
costituirebbero un impaccio all’efficacia della decisione politica. Si tratta
oggi, invece, a cominciare proprio dal livello del governo del territorio, di
costruire le condizioni per il rilancio di adeguate forme partecipative nelle
scelte per il bene comune.
E’ un’esigenza che si fa tanto più impellente a fronte di determinate difficoltà di comunicazione entro l’esperienza della nostra realtà: dal colloquio con i vari comitati territoriali alle grandi questioni della programmazione urbanistica, ad una maggiore appropriazione dei provvedimenti amministrativi da parte della cittadinanza. A tale esigenza si faceva riferimento anche nel programma elettorale di candidatura del centrosinistra alla guida della città, laddove si affermava che “obiettivo politico al centro del lavoro dei prossimi anni sarà quello di promuovere la partecipazione di tutti i cittadini alla vita della città, costruire spazi aperti, inclusivi, per poter discutere e contribuire alle decisioni, avviare percorsi formativi per quanti intendono padroneggiare i metodi e gli strumenti della partecipazione. Un nuovo modo di fare partecipazione a fronte della soppressione per legge dei consigli circoscrizionali”.
E’ un’esigenza che si fa tanto più impellente a fronte di determinate difficoltà di comunicazione entro l’esperienza della nostra realtà: dal colloquio con i vari comitati territoriali alle grandi questioni della programmazione urbanistica, ad una maggiore appropriazione dei provvedimenti amministrativi da parte della cittadinanza. A tale esigenza si faceva riferimento anche nel programma elettorale di candidatura del centrosinistra alla guida della città, laddove si affermava che “obiettivo politico al centro del lavoro dei prossimi anni sarà quello di promuovere la partecipazione di tutti i cittadini alla vita della città, costruire spazi aperti, inclusivi, per poter discutere e contribuire alle decisioni, avviare percorsi formativi per quanti intendono padroneggiare i metodi e gli strumenti della partecipazione. Un nuovo modo di fare partecipazione a fronte della soppressione per legge dei consigli circoscrizionali”.
In questo senso, il PD – in quanto partito di maggioranza ed
asse dell’alleanza di governo – intende promuovere un’iniziativa che possa
favorire condizioni di maggiore colloquio fra l’amministrazione comunale e le
diverse istanze partecipative che insistono sul territorio cittadino, superando
costruttivamente steccati e contrapposizioni. Si tratta di muoversi su tre
distinte, ma vicendevolmente connesse, linee d’azione. Una prima, più generale,
riguarda l’esigenza di ‘parlare di più con la gente’, attivandosi per fare
delle grandi opzioni strategiche dello sviluppo cittadino temi discussi e
condivisi dalla popolazione. Lo stesso disagio, la stessa difficoltà che
attraversa alcuni settori della città ad accettare il cambiamento deve essere
il più possibile incanalata in un processo di condivisione ed appropriazione
collettiva. Il ‘mugugno’ deve diventare motore di un’azione sollecitata dal
basso ma resa oggetto di direzione politica. Esemplare da questo punto di vista
è il caso della costruzione del bilancio comunale. Un traguardo fondamentale
dovrebbe essere quello di costruire il bilancio comunale discutendone le
principali voci e opere nei vari ambiti cittadini, verificando l’ordine delle
priorità e giungendo dopo un percorso ampio alla votazione in consiglio
comunale. Forte deve essere la persuasione per cui affrontare il dissenso
pubblico, nonché confermarsi, comunque, presenti nei territori costituisca il
miglior strumento di un governo capace di costruire consenso e di battere i
tanti impulsi antipolitici. Una seconda direttrice, che deriva direttamente
dalla prima, riguarda l’impegno del PD. La stessa vittoria del PD nei recenti
appuntamenti amministrativi entro l’ambito nazionale, il suo carattere di
omogeneità, dimostra come il radicamento costituisca un fattore prezioso ed un
requisito importante per selezionare e proporre una classe dirigente adeguata.
Il PD deve essere in grado di mobilitare con più efficacia le proprie
articolazioni territoriali, facendone strumento di mediazione, di
pronunciamento e confronto in merito alle decisioni amministrative. Punto di
forza del PD spezzino, che ne ha consentito la permanente conferma della
fiducia da parte degli elettori, è stata, infatti, la sua capacità di sintesi e
di incontro tra i diversi interessi e le diverse sensibilità che investono il
nostro territorio. Una terza linea d’azione deve riguardare la formulazione di
una proposta da parte del PD locale di sostituzione dello strumento delle
Circoscrizioni, pur nell’attuale situazione di vuoto normativo nazionale. Le
Circoscrizioni si erano certamente logorate come veicoli della partecipazione
democratica, ma cancellarle con un tratto di penna è stato sbagliato. Resta,
infatti, ferma l’esigenza di un livello di mediazione che intrecci fornitura
dei servizi al cittadino e partecipazione. Rispetto al progetto elaborato dal
Comune - ed oggi fermo sul piano
dell’applicazione – occorre suggerire miglioramenti che promuovano il rilancio
partecipativo. Pensiamo, innanzitutto, alla questione di integrare la
partecipazione spontanea con elementi di rappresentanza (dalle associazioni
agli stessi partiti), recuperando lo spirito dell’esperienza dei ‘comitati di
quartiere’. Così, si potranno ridefinire procedure e strumenti per parametrare
la programmazione pubblica ad un tessuto democratico molto articolato e composito.
A questi nodi il Coordinamento Provinciale e l’Unione Comunale del PD della
Spezia intendono dedicare un apposito appuntamento che si avvalga del confronto
con ‘progetti-pilota’ in altre realtà e che venga definito per mezzo di un
ampio percorso di approfondimento.
Per restituire lo spirito di questo impegno appaiono
esplicative alcune parole che un importante filosofo della politica italiana,
Marcello Montanari, in una missiva compresa nel carteggio con B. De Giovanni
raccolto nel recente volume Sentieri
interrotti, ha utilizzato, con peculiare acutezza: “un mio vecchio amico
ingegnere, che è stato nei lontani anni ’70 un assessore in una giunta di
sinistra, mi raccontava che, a quei tempi, era costretto ad una duplice fatica.
Prima doveva elaborare un piano urbanistico che avesse un qualche senso. Poi
sottoporsi alle critiche dei compagni di partito (operai, sarti, barbieri, etc)
ai quali doveva spiegare quel piano. Naturalmente doveva anche spiegare perché
non si potesse costruire nella villa comunale (…) Era un meccanismo che, da un
lato, serviva ad educare le masse (Dio ce scampi dalle masse in-educate!) ma
serviva anche a evitare (per quel poco che è stato possibile) che fossero in
pochi a decidere dell’utilizzo del territorio. Era un modo di instaurare una
mediazione tra i lavori, dal momento che anche i barbieri hanno diritto di
comprendere le ragioni di scelte urbanistiche e gli ingegneri di comprendere le
esigenze di chi vive sul territorio”.
Luca Basile – Responsabile Enti Locali Segreteria PD
Provinciale
La riflessione critica di Basile, assieme a qualche limite di cui poi dirò, ha il pregio di connettere l'allarme sulla caduta di attenzione alle esigenze della partecipazione democratica dei cittadini ad un più generale stato di crisi del sistema politico italiano ed in definitiva, come afferma, "della crisi di legittimazione del sistema tradizionale della rappresentanza". La fa risalire agli anni '80, in realtà penso sia ancora precedente. L'aveva già intuita P.P.Pasolini nei suoi "Scritti corsari" nel suo notissimo articolo sulla scomparsa delle lucciole, ma noi non lo intendemmo nè lo capimmo, paghi come eravamo dei successi politici ed elettorali della metà degli anni '70. Fu chiarissima con l'esito rovinoso della "solidarietà nazionale" ma tardammo un altro decennio per trarre le necessarie conclusioni, perdendoci invece - al di là delle sue ragioni- in una guerra fratricida a sinistra.
RispondiEliminaCerto, col senno del poi tante cose si possono dire e scrivere, ma a settant'anni suonati da un pezzo sento il peso sulle spalle di una responsabilità personale e collettiva di una generazione che non fu compiutamente all'altezza di quei passaggi d'epoca.
Forse proprio muovendo da questa consapevolezza autocritica non posso essere molto indulgente con le visioni un pò di maniera e consolatorie che oggi sono così comuni. Come quando Basile scrive " Punto di forza del PD spezzino, che ne ha consentito la permanente conferma della fiducia degli elettori, è stata infatti la sua capacità di sintesi e di incontro tra i diversi interessi e le diverse sensibilità che investono il nostro territorio".
Posso sbagliare, ma onestamente ed in tutta franchezza io tale capacità non l'ho proprio vista.
Ora, anche senza ricordare l'antica elaborazione di Weber sul procedere politico - anche con momentanei successi - di una formazione sociale o politica in crisi che pur regge in forza di una residua organizzazione, ben più solida di quelle dei competitori, ciò che conta ai fini di un'analisi reale non è solo la percentuale dei tuoi elettori che comunque ti consente il mantenimento del ruolo di governo locale, bensì il conto sul totale degli aventi diritto al voto. Ciò anche per non dimenticare od eludere, a proposito della crisi di rappresentanza, il dato significativo dell'astensionismo di massa.
Non intendo certo, senza peraltro averne titolo,fare le pulci all'articolo di Basile che invece apprezzo e condivido nel suo ragionamento di fondo. Solo spero che entrambi riconosceremo che quella frase e apprezzabile soprattutto se coniugata al futuro, o se si intende, col linguaggio dei bilanci d'azienda, a preventivo e non a consuntivo d'esercizio. Forse di queste riflessioni dovremo ricordarcene nello sviluppo del dibattito congressuale del PD che ci attende.
Concordo con l’esigenza di mettere al centro dell’impegno politico di questa fase la questione della partecipazione popolare alle scelte della vita della città. Semmai pongo l’accento sull’urgenza di intervenire, perché la situazione è davvero drammatica. Anche a Spezia, come a livello nazionale, siamo di fronte alla crisi della democrazia, dei partiti e del sistema politico. O si corre ai ripari, o i cittadini si allontaneranno sempre più e faranno politica fuori e contro il sistema politico attuale. Ogni vicenda della politica locale ci mostra ormai come, scomparsi Piano strategico, Progetto Quartieri e Circoscrizioni, non ci sia più una rete che connetta e tenga insieme la complessità sociale e culturale della città. Rispetto a un passato ricco, fin dalle Giunte di sinistra degli anni ’70, di esperienze significative bisogna certamente migliorare e andare avanti: ma la risposta sta in nuove regole del governo politico sempre più fondate sull’intreccio tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta, non certo nella scelta decisionista dell’uomo solo al comando. Che poi solo non è mai: perché se non si mobilitano e non si coinvolgono tutti gli attori collettivi, non solo quelli “forti” ma anche quelli”deboli”, resteranno, a partecipare, gli attori “forti”. Gli interessi economici vanno quindi intersecati con altri interessi e punti di vista, quelli delle associazioni e dei movimenti sociali urbani, gruppi portavoce di “domande qualitative” (qualità della vita e urbana). E’ ovviamente giusto, per fare qualche esempio, che il Comune sul porto si confronti con Contship e sulla centrale con Enel: ma non basta, perché nessun governo politico può rinunciare alla partecipazione delle associazioni e dei movimenti sociali. Altrimenti non ce la fa a governare bene. Se poi il governo politico è di sinistra, il rischio è addirittura esistenziale: una rinuncia alle proprie radici e quindi un mutamento genetico. La sinistra esiste ancora? La questione della partecipazione popolare è la cartina di tornasole. E’ “la” questione: o si svolta o si diventa un’altra cosa.
RispondiEliminaGiorgio Pagano